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martedì 28 settembre 2010

Mica mi volete dire che.....è qui ( MAREMMA) la festa??????



Allarme per “trivella selvaggia” Sondaggi e perforazioni: boom di richieste per il territorio grossetano

GROSSETO. Ovunque trivelle in cerca di acqua calda, petrolio, oro, gas, addirittura antimonio. La Maremma ormai è assediata per terra e per mare. Nei mesi scorsi l’allarme era stato lanciato da La Repubblica e da siti ambientalisti come Greenreport, ora la conferma arriva direttamente dalle pagine web della Regione Toscana.

Sono decine, infatti i progetti di questo tipo sottoposti a procedura di verifica di assoggettabilità. Permessi di ricerca (per lo più di compagnie straniere, quotate in borsa, con società satellite in Italia) che sfuggono alla valutazione di impatto ambientale e si traducono in “schede e documentazione”. Toccano tre quarti della provincia di Grosseto, dalla costa all’Amiata, dalle colline del Fiora a quelle Metallifere. A volte gli stessi territori sono nel mirino anche di tre diverse società.

Vediamole alcune di queste schede: c’è il permesso di ricerca per risorse geotermiche Poggio Montone, nei Comuni Santa Fiora, Castell’Azzara, Piancastagnaio. Proponente: Sorgenia Geothermal srl. Poi quello denominato Monte Santa Croce (sempre geotermico), nei comuni di Monterotondo, Massa Marittima, Montieri e Radicondoli. Stesso proponente del precedente. Il progetto Monte Labbro, nei comuni di di Arcidosso, Cinigiano, Roccalbegna, Santa Fiora, Castel del Piano e Campagnatico, è stato presentato invece dalla Geoenergy srl. Anche in questo caso si cerca l’acqua calda. Parliamo a parte del permesso per la ricerca di idrocarburi denominato Casoni, nel Comune di Grosseto. Esplorazioni geotermiche, stavolta della Magma Energy Italia, anche nei Comuni di Grosseto, Massa Marittima, Roccastrada. Gavorrano, Civitella Paganico. Il progetto si chiama Roccastrada. La Geoenergy ha chiesto di poter sondare il comprensorio del tufo (Sorano, Semproniano, Manciano e Pitigliano) con il permesso chiamato Pitigliano.

Ma queste sono solo le ultime richieste giunte sul tavolo della Regione. Nel recente passato hanno già portato a casa il risultato un’altra dozzina di società: la Gesto Italia srl per esempio può cercare l’acqua calda nei comuni di Cinigiano, Campagnatico, Civitella Paganico, Arcidosso e Scansano. La Magma Energy presenterà il 1º ottobre, a palazzo Aldobrandeschi, il suo progetto di ricerca di risorse geotermiche, già sottoposto al procedimento di verifica di assoggettabilità, chiamato Boccheggiano. Insiste sui territori di Massa Marittima, Roccastrada, Montieri, Gavorrano, Chiusino e Monticiano. E Boccheggiano è anche il nome del permesso di ricerca di risorse geotermiche di Enel Green Power che interessa più o meno gli stessi territori. Il comprensorio di Monterotondo Marittimo è appetito anche dalla Cosvig srl (progetto Acquaferrata) che intende spingersi soprattutto sul versante livornese-pisano: Castagneto Carducci, Sassetta, Suvereto, Pomarance.
È stato battezzato Alto Farma, invece, il progetto presentato dalla Gesto Italia.

Ricade nei comuni di Montieri, Roccastrada, Chiusdino e Monticiano. Come da prassi ha già ottenuto il via libera da Firenze nonostante il territorio interessato sia per buona parte una riserva naturale. Anche qui l’obiettivo è lo sfruttamente geotermico. Stesso prerogativa per la scheda Catabbio, nei comuni di Castell’Azzara, Manciano, Semproniano e Sorano. Il proponente stavolta è Enel Green Power. Nei prossimi mesi basterà spostarsi di pochi km per incontrare geologi e tecnici del progetto Triana: comuni di Roccalbegna, Santa Fiora, Semproniano e Castell’Azzara. Ma non è finita. In questo lunghissimo elenco di richieste finalizzate alla ricerca di fonti energetiche troviamo una toponomastica familiare per chi conosce unn po’ la Maremma: dal progetto Montebamboli di Enel Green Power (Colline Metallifere) al Baccinello, passando per Murci, che si estende dall’Amiata a Magliano in Toscana toccando ben 11 comuni dell’entroterra.

La posizione della Regione in questa delicata materia è sempre stata chiara, seppure non condivisa, in certi casi, dai livelli locali. «Abbiamo solo concesso alcuni permessi che, secondo gli uffici tecnici e legali, non potevamo negare - ha sempre ripetuto l’assessore Anna Rita Bramerini - certe indagini sono a basso impatto ambientale, attività di ricerca propedeutiche a coltivazioni vere e proprie». Su questa insolita corsa ad accumulare permessi di ricerca (a volte in luoghi davvero impossibili) restano comunque molti aspetti da chiarire. Se tutte le esplorazioni autorizzate in questa fase dessero risultati positivi, come si comporterà la Regione? Come cambia il territorio? Perché, al di là delle norme, nessuno sente il bisogno di valutare il cumulo dei progetti?

Tratto dal Il Tirreno on line del 28 Settembre 2010.

sabato 25 settembre 2010

Orto in Condotta, Corporate Gardens...ossia...ritorno alle origini???



EDUCAZIONE ALLA NATURA

«Orto in condotta», l'iniziativa
per educare agli alimenti sani
Il Comune insieme a "Slow food" propone spazi verdi coltivati a ortaggi nelle scuole, centri anziani e ospedali.


ROMA - Il Comune di Roma e Slow Food insieme per portare la buona alimentazione sulle tavole dei giovani alunni della capitale. A questo mira l’ambizioso progetto ’Orto in condotta’ presentato giovedì in Campidoglio alla presenza del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e del presidente internazionale di Slow Food, Carlo Petrini. Il protocollo si pone come obiettivo quello di realizzare nelle scuole primarie e dell’infanzia un piccolo orto in cui gli studenti possano imparare il valore dei prodotti regionali ed avvicinarsi così ad un’alimentazione sana ed equilibrata. Questo attraverso la collaborazione degli esperti di Slow Food che cercheranno di coinvolgere anche le famiglie dei ’giovani agricoltori’. Un piano che nella mente del sindaco Alemanno non si ferma qui: il primo cittadino ha infatti annunciato l’intenzione di estendere l’iniziativa anche ad altre realtà comunali come centri anziani, ospedali e lo stesso Campidoglio, dove prossimamente sorgerà uno spazio verde coltivato ad ortaggi.

«PUNTIAMO SULLA QUALITA'» - «C'è un aspetto educativo, di esperienza che i ragazzi poi portano nelle famiglie e nella loro vita. Questa progettualità si deve estendere ad altre realtà e portarla nei centri anziani, nelle strutture sanitarie e di assistenza», lo ha detto il sindaco di Roma Capitale Gianni Alemanno a margine della sottoscrizione del protocollo tra il Comune e la condotta slow food di Roma per la realizzazione del progetto 'Orto in condotta'. «Anche il Campidoglio avrà il suo orto come coronamento, come simbolo evidente di questo tipo di strategia. Si tratta di immaginare uno sviluppo urbano diverso», ha aggiunto Alemanno. «Questo tipo di mentalità è la migliore risposta alla situazione di crisi che stiamo vivendo che non si risolve con nuovi modelli industriali che vanno a ripetere cicli economici già visti ma puntando sulla qualità. Roma lo vuole essere in maniera particolare. Noi siamo per molti versi -ha concluso Alemanno - la capitale dell'alimentazione a livello internazionale e siamo una città che ha delle tradizioni gastronomiche incredibili».

Alessandro Profumo: NUMERI UNO si nasce...non ci si diventa!



In Maremma il “dono” del super-banchiere

E’ alla casa di accoglienza per donne in difficoltà della fondazione Sasso di Maremma che Alessandro Profumo, il super-banchiere silurato da Unicredit, ha donato due milioni della sua liquidazione. Una struttura fondata da un prete di strada, il milanese don Virginio Colmegna.


CINIGIANO. «Le volte che viene a trovarci Profumo si sente come tra amici. Ricordo che una volta si commosse perché don Colmegna gli dette la parola. Era un momento difficile per lui sul piano professionale e il calore della nostra comunità lo fece quasi piangere», racconta Francesca Bianchi, 38 anni, responsabile pedagogica dei progetti della fondazione Sasso di Maremma, che nel cuore dell'Amiata, a Cinigiano, ha una casa di accoglienza per donne in difficoltà. Qualche anno fa don Virginio Colmegna, milanese, grazie all'amico don Enzo Capitani, prete grossetano, ha fondato la fondazione Sasso di Maremma, alla quale Profumo ha deciso di destinare due milioni della sua liquidazione.

L'Amiata è terra di eretici. Qui visse David Lazzaretti, definito il Cristo dell'Amiata (era di Arcidosso) e anche padre Ernesto Balducci è figlio di minatori di Santa Fiora. E, vicino a Grosseto, c'è la Nomadelfia di don Zeno Saltini. Da qualche anno è approdato da queste parti, a Cinigiano, anche un'altra figura di prete di strada: don Virginio, amico del cardinale Carlo Maria Martini.

La presenza di Profumo. L'ex ad di Unicredit era presente quando, il 27 giugno del 2009, è stata inaugurata la Casa di Pille, un edificio ristrutturato grazie al sostegno di Fondazione Vodafone Italia e Fondazione Mps di Siena, che è la sede delle attività di carattere sociale e culturale della Fondazione.

Donne e bambini. Le attività sociali si svolgono in due appartamenti, dove sono ospitate donne e mamme con bambini in stato di disagio economico e sociale, segnalate dai servizi di Asl e Comuni. Attualmente la casa è abitata da 6 donne e 2 bambini di 18 mesi e 4 anni. Nel corso dell'ultimo anno sono state ospitato 15 persone. Si tratta di donne prevalentemente italiane con storie di profonde ferite dentro. C'è chi ha subito maltrattamenti fisici in famiglia. Chi abusi sessuali. E ci sono anche due ragazze straniere sottratte alla tratta della prostituzione. «Lo stile dell'accoglienza prevede di sviluppare e sostenere la costruzione di reti sociali esterne di supporto, attraverso il coinvolgimento di famiglie di appoggio e di gruppi volontari di riferimento. Ogni accoglienza prevede la definizione di un progetto individualizzato di 2-4 mesi», spiega Francesca Bianchi, che è coadiuvata da due educatrici e uno psicologo, nonché a turno da un gruppo di volontari.

La storia di Laura. La prima ospite è stata Laura, una ragazza abbandonata, i genitori le sono morti da piccola, è stata sballottata di qua e di là e poi affidata ad una sorellastra, il cui marito l'ha violentata. «Quando è venuta da noi l'abbiamo aiutata intanto a prendere il diploma e a darsi regole che non aveva. Ad esempio le abbiamo insegnato a rispettare il suo corpo, che lei - come in genere le persone che hanno subito violenze sessuali - concedeva con troppa facilità. Infine l'abbiamo aiutata a fare esperienze di lavoro. Oggi ha 26 anni, vive da sola, ha un fidanzato e lavora regolarmente. Continua a rimanere in contatto con noi», racconta Francesca.

Da Prodi a Bianchi. La fondazione organizza anche una attività culturale attraverso seminari legati al tema dell'etica. L'etica della cura, della politica e della finanza. Sono seminari ristretti, ad invito, al quale hanno partecipato personaggi come Romano Prodi, Luigi Bianchi, Massimo Toschi, oltre a Profumo. Il prossimo è a fine ottobre, dedicato alla finanza e all'economia sostenibile.

Progetto giovani. Ai giovani è poi dedicato il percorso pedagogico chiamato le «Barbiane nel mondo». Il progetto è rivolto a giovani tra i diciotto e i 35 anni, di tutta Italia, con una passione per il sociale. «Le finalità? Offrire ai giovani l'opportunità di utilizzare al meglio l'apparecchio fotografico, prima e la videocamera poi, al fine di migliorare le proprie capacità tecniche, visive, compositive e critiche», spiega la Bianchi. Infine la fondazione gestisce anche un podere di 40 ettari, dove si producono vino e olio. «Se facciamo pari è grassa...».

Tratto dal Tirreno on line del

24 Settembre 2010

mercoledì 22 settembre 2010

Fare la Mamma e la Carriera?...Si può fare, BRAVA LICIA!



L'eurodeputata italiana Licia Ronzulli a Strasburgo con la sua Vittoria, nata lo scorso dieci agosto (Reuters).

Tratto dal Corriere della Sera on line del 22 Settembre 2010.

domenica 19 settembre 2010

Nanotecnologie in medicina: SPERIAMO presto, anzi prestissimo....



Nanotecnologie Per utilizzare le nuove terapie anti-cancro servono speciali «veicoli»

Una piccolissima mezza-noce
trasporterà i farmaci

Le medicine in futuro saranno veicolate nell'organismo da speciali navicelle che le porteranno a destinazione


MILANO - Dimenticatevi "Viaggio allucinante" e la navicella di chirurghi miniaturizzati che percorrono le arterie di un paziente fino al suo cervello, per operarlo, come aveva immaginato il regista Richard Fleischer nel 1966. Dimenticatevi anche le "naniti", le macchine auto-replicanti del mondo fantastico di Star Trek. E dimenticatevi persino le invenzioni romanzesche di Michael Crichton in "Preda" e i suoi sciami di nanorobot che minacciano il futuro del mondo. Non c'è niente di fantascientifico nelle nanotecnologie: sono già tra noi e pochi se ne sono accorti. Guardatevi attorno: telefonini, computer, apparecchi elettronici (per non parlare di cosmetici, tessuti, vernici…) funzionano grazie alle nanotecnologie, grazie, cioè, a materiali le cui dimensioni sono inferiori a un milionesimo di millimetro. È la tecnologia dei chip. Pensate adesso alla medicina: i liposomi, piccole strutture in grado di trasportare farmaci nell'organismo, esistono già da alcuni anni. La nanomedicina, però, è rimasta un passo indietro rispetto all’elettronica: quando si parla di malati e malattie occorre andare con i piedi di piombo e rispettare, nella ricerca, regole molto severe. Ma le attese sono enormi, soprattutto quando si parla di cura del cancro. La situazione, oggi, è quella del "Re nudo" e Mauro Ferrari, una star mondiale del settore nanotech, lo dice chiaro e tondo: «La realtà è che abbiamo farmaci molto potenti, ma la quantità necessaria per uccidere il tumore, alla fine, ci fa perdere anche il paziente. Il problema è far arrivare il farmaco al posto giusto e la soluzione sta nell'ingegneria e nella fisica: per questo non possiamo fare a meno della nanomedicina. Non dimentichiamoci che stiamo ancora usando, per combattere il cancro, farmaci derivati dal gas-mostarda utilizzato nella Prima Guerra Mondiale per uccidere le persone».

NON SOLO PICCOLISSIMI - Ferrari che è appena stato nominato Presidente e Ceo (Amministratore Delegato) del Methodist Hospital Research Institute a Houston e dirige il Department of Nanotechnology and Biomedical Engineering alla University of Texas Science Center, spiega così il significato delle nanotecnologie: «Non è soltanto una questione di dimensioni: la nanotecnologia fa riferimento a qualcosa, un dispositivo per esempio, che proprio in quanto così "piccolo" assume nuove proprietà». Nel nano-mondo non ci sono più confini fra chimica, fisica, ingegneria, matematica e biologia: la nanotecnologia è multidisciplinare. Per questo è molto difficile costruire nano-dispositivi ed è ancora più difficile sperimentarli. «Le proprietà emergenti — continua Ferrari — che la materia assume a dimensioni nanometriche vanno previste con carta e penna, con equazioni matematiche e leggi fisiche. Non farlo, sarebbe come costruire un aereo e verificare poi se riesce a volare». La progettazione matematica è la chiave della ricerca, secondo il "modello" Ferrari, e con questo criterio lo scienziato e il suo gruppo di lavoro hanno costruito sistemi di somministrazione dei farmaci di nuovissima generazione. «La forma peggiore per il trasporto di molecole è la sfera. E anche il classico sistema formato da una particella ellissoidale, contenente il farmaco e capace di riconoscere gli antigeni del tumore grazie ad anticorpi, sistemati sulla sua superficie — dice Ferrari — non funziona. Le particelle sono troppo grosse e pesanti e non riescono a raggiungere l'obiettivo». A tavolino, i ricercatori di Houston hanno trovato un veicolo migliore, con una forma a semi-noce di cocco e con un modulo "a più stadi" come quello usato dalla Nasa per le missioni spaziali. «L'idea — spiega Ferrari — è quella di costruire una particella che trasporti al suo interno molecole diverse (è il nano nel micro) con compiti ben precisi: il codice del loro funzionamento è scritto nella chimica e nella fisica di questi sistemi e l'obiettivo è fare arrivare il farmaco giusto nel posto giusto». In altre parole, le semi-noci di cocco sono costruite in modo tale da viaggiare con facilità nel circolo sanguigno, superare le barriere che possono incontrare sul loro percorso per arrivare al tumore (per esempio la parete dei vasi sanguigni), legarsi alle membrane cellulari, entrare nelle cellule tumorali e liberare sostanze con effetti terapeutici in una catena di eventi il cui obiettivo finale (nel caso della terapia anti-cancro) è la morte della cellula tumorale.

COME ANDARE SULLA LUNA - Questi sistemi sono, dunque, paragonabili alle navicelle spaziali per le missioni sulla Luna, come l’Apollo, che erano composte da più moduli: quello di comando, quello di servizio, e quello lunare, ognuno con funzioni diverse. «Ma andare sulla Luna — commenta Ferrari — è più facile che arrivare al cuore delle cellule tumorali» Ferrari ha firmato un articolo appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, in cui descrive la possibilità di far arrivare all’interno della cellula tumorale particelle contenenti molecole, chiamate siRna, in quantità sufficiente per avere un effetto terapeutico. La sigla siRna sta per small interfering Rna o silencing Rna (Rna silenziatore): si tratta di molecole di Rna (acido ribonucleico) che interferiscono con l’espressione dei geni e, quindi, con la produzione di proteine (la scoperta del fenomeno dell’interferenza dell’Rna è stato premiato con il Nobel per la medicina del 2006, assegnato a Andrew Z.Fire e Craig C. Mello). Potenzialmente i siRna offrono prospettive eccezionali nella cura dei tumori proprio perché possono interferire con tutte le proteine patologiche prodotte da geni alterati. In un esperimento, condotto su un paziente con melanoma alcuni ricercatori americani sono riusciti a dimostrare, per la prima volta, che specifici siRna, trasportati da nanovettori, raggiungono il tumore e sono in grado di sopprimere l’attività di geni specifici. «Il più importante problema che resta da risolvere — spiega Ferrari — è però proprio il trasporto di queste molecole di Rna fino al tumore in quantità sufficienti perché siano efficaci, evitando la loro distruzione. Le nostre nanoparticelle multifunzionali possono rappresentare una soluzione». E la sicurezza delle semi-noci di cocco? «Non ci sono problemi, — conclude Ferrari — si degradano facilmente e non hanno effetti dannosi sull’organismo».

Tratto da Il Corriere della Sera on line
Adriana Bazzi
abazzi@corriere.it
19 settembre 2010.

venerdì 17 settembre 2010

Abigail Barwuah: la "SUPER SORELLA"...di Mario Balotelli...



Ospite ieri sera del Chiambretti Night...ha parlato anche di suo fratello naturale Mario Balotelli...

“Mario è una persona per bene, si fida delle persone, forse un pò troppo.

Quando si sceglie una ragazza, bisogna sceglierne una semplice, non quelle che cercano di farsi pubblicità”: così ha commentato la sorella naturale di Mario Balotelli, Abigail Barwuah, per la prima volta ospite di un programma televisivo, il “Chiambretti Night” di ieri sera che è tra l’altro volato al 18.25% di share, aggiudicandosi la fascia oraria.

Nel corso del programma, Abigail ha definito il fratello un “giocherellone” per poi affermare che a suo dire “fa vedere che è un duro ma è fragile”. “Gli faccio gli scherzi – ha svelato la sorella di Super-Mario, abitante nei dintorni di Brescia – gli dico che nel 2012 il mondo finirà e lui si mette a urlare…!”.

Spazio anche al trasferimento di Balotelli al Manchester City (“era stanco della pressione, si è esagerato su di lui, lui voleva andare in Inghilterra”), al suo carattere finito spesso sotto accusa (“la famiglia non c’entra nulla”), per poi rivelare l’identikit della “donna giusta” per Balotelli, in vista di un eventuale matrimonio: “è una bella ragazza, non è italiana, non è del mondo dello spettacolo, non è una sconosciuta, la stimo, la conosco già. E anche lui”.

Tratto dal Corriere della sera on line del 17 Settembre 2010.

martedì 14 settembre 2010

Tennis: The number ONE is.....



Ha battuto in finale il serbo Djokovic. Che gli rende onore: «E' lui il migliore»

Nadal vince gli Us Open, è Grande Slam

Il tennista spagnolo entra nella storia: è il più giovane ad aver centrato il poker dei tornei più prestigiosi del mondo


MILANO - Rafael Nadal ha vinto gli Us Open di tennis battendo in finale il serbo Novak Djokovic con il punteggio di9 6-5, 5-7, 6-4, 6-2 e con questo successo entra nella storia del tennis: oltre ad avere centrato l'obiettivo del Grande Slam, ovvero la conquista dei quattro principali tornei del mondo (Australia Open, Rolland Garros, Wimbledon e Us Open), risultato fino ad ora riuscito a Rod Laver (l'unico ad averli vinti uno dietro l'altro), André Agassi e Roger Federer, con i suoi 24 anni è in assoluto il più giovane ad avere raggiunto il traguardo.

L'ONORE DELLE ARMI - «È più di quanto potessi sognare - ha detto Nadal sul campo dopo la vittoria - arrivare in finale era già incredibile, ma ora avere questo trofeo...

La partita che non aveva potuto svolgersi domenica a causa della pioggia , anche lunedì ha subito un'interruzione di un paio di ore dovuta al maltempo.

Djokovic ha reso omaggio al vincitore:<< Oggi è il migliore giocatore del mondo e merita questo titolo.>> Ha detto che è stato per un onore tornare in finale dopo tre anni.

Tratto dal Corriere on line del 14 Settembre 2010.

giovedì 9 settembre 2010

11 Settembre 2001: sapremo mai come sono andate le cose veramente????...mmbhaa...



11 Settembre - Il piano

Gli indizi ignorati della strage
che colpì l'America al cuore
Anche la storia del piano d'attacco dimostra come l'idea sia venuta da lontano.


Quelli di Al Qaeda hanno appiccato il fuoco e si godono l'incendio. Ogni tanto - e quando possono - lo alimentano con una strage. Oppure sfruttano la «legna» fornita generosamente da altri: l'idea di aprire una moschea a due isolati da Ground Zero, il predicatore folle della Florida e qualsiasi provocazione - vera o presunta - che appaia sulla faccia della Terra. Certo, non è il sollevamento popolare che sognava Bin Laden quando ha lanciato l'attacco all'America, ma è una lunga coda di veleni e violenze sulla quale Al Qaeda vuole mettere il suo marchio. Anche se molti esperti ritengono che Osama sia diventato irrilevante. Quasi volessero privarlo dei «meriti» jihadisti che si è guadagnato spargendo il sangue dei nemici. E si aggiunge, misurando la forza del terrore dal numero di vittime, che i qaedisti sarebbero meno letali. G. O.

WASHINGTON - La nuova Pearl Harbor americana inizia alle 8.46 dell'11 settembre 2001, quando l'American Airlines 11 si schianta sulla Torre Nord del World Trade Center a New York. Alle 9.03, il volo United 175 centra la Torre Sud. Alle 9.37 è un altro jet dell'American Airlines (volo 175) a precipitare sul Pentagono, a Washington. Infine si disintegra al suolo in Pennsylvania il volo United 93: doveva colpire la capitale. Gli aerei sono stati dirottati da 19 terroristi di Al Qaeda, divisi in quattro nuclei, e poi lanciati sugli obiettivi. Delle 2965 vittime dell'attacco (cifra che include WTC, Pentagono e volo 93) quasi la metà non sono state identificate. Circa 800 hanno un nome grazie al Dna. A nove anni dal massacro vengono ancora ritrovati dei resti: l'ultima volta è avvenuto alla fine di giugno durante lavori di scavo vicino a Ground Zero quando sono emersi 72 «reperti».

Questi osservatori possono aver ragione, ma solo in parte. Perché come è accaduto troppo spesso si è fatta partire la «storia» dalla mattina dell'11 settembre 2001, quando i quattro jet sono stati trasformati in missili da crociera per attaccare i simboli della potenza americana. Il cuore finanziario a New York, il Pentagono a Washington.

L'assalto affidato ai «19 martiri» non è l'inizio ma la fine di una lunga marcia iniziata quasi dieci anni prima. E al pari di altre formazioni islamiste, il movimento di Osama è arrivato al grande colpo attraverso molte fasi. Hanno tentato una prima volta nel 1993 - con l'autobomba sotto le Torri - quindi sono tornati ad agire in Medio Oriente con attacchi locali, legati però a bersagli stranieri. Gli attentati ai turisti in Egitto, operazioni in Pakistan e nello Yemen, sostegno agli insorti somali e una bomba in un locale in Sud Africa.

IL MANIFESTO - Osama si è sentito abbastanza forte per dichiarare guerra - nel 1996 - a «ebrei e crociati». Ha anche pubblicato un manifesto dove spiegava quali fossero le sue intenzioni. È stato registrato in modo distratto, non esaminato con il dovuto rigore. Così Bin Laden, raccolte le forze esigue e modellato un network internazionale - sempre molto agile - ha colpito con duplice attentato in Africa (agosto 1998). Due ambasciate americane devastate a Nairobi e Dar Es Salam, centinaia di vittime e il ricorso alla tattica preferita: azione multipla, con kamikaze e veicoli pieni di esplosivo. Finalmente si sono accorti del pericolo che rappresentava ma non hanno avuto abbastanza fegato per eliminare il Califfo.

Nei tre anni seguenti, sotto l'ombrello dei talebani, Osama ha attirato seguaci da tutto il mondo e ha avviato l'operazione del 9/11 usando l'asse Afghanistan-Pakistan quale base di partenza. In centinaia sono andati ad addestrarsi nel santuario. Carne da cannone, uomini spendibili. Solo un numero ristretto di eletti - e tali sono considerati dai loro ammiratori - è stato designato per qualcosa che nessuno aveva mai provato a fare.

LO SCHEMA - Bin Laden ha ripetuto lo schema del terrorismo ad hoc. Gli serviva un capo operativo abile e deciso. E lo ha trovato nell'ambizioso Khaled Sheikh Mohammed, aiutato dal sodale Ramzi Binalshib. Quindi ha individuato un gruppo ristretto di militanti, diventati il suo «A team». A questo punto ha valutato opzioni, tempi, possibilità. Forse non sapremo mai l'esatto numero dei cospiratori ma non crediamo che sia stato troppo ampio. Nuove valutazioni condotte negli Usa ritengono che in quei mesi i veri qaedisti fossero nell'ordine dei 200-300. Il resto era una massa di volontari che a stento sapevano imbracciare un Kalashnikov. Ma non era l'abilità nel tiro che interessava a Bin Laden: la loro vera forza era la completa adesione all'idea di lotta feroce e di sacrificio estremo. Un impegno trasformatosi in uno stato mentale, dove ogni momento dell'esistenza quotidiana è segnato dall'estremismo.

Un intreccio complesso di sentimenti e sensazioni che diventa la molla per i 19 kamikaze. Anche la storia del piano d'attacco dimostra come l'idea venga da lontano. È nel 1996 - o forse un anno prima - che Khaled Sheikh Mohammed, alias Ksm, presenta a Osama un progetto grandioso: il dirottamento simultaneo di una dozzina di aerei con i quali colpire non solo il World Trade Center ma anche la Casa Bianca, il Congresso e altri obiettivi sensibili. Il capo ascolta, poi boccia la proposta ritenendo che sia inattuabile. L'idea, però, rimane nella testa. Ed è proprio Osama, nella primavera del 1999, a convocare Mohammed a Kandahar (Afghanistan) per affidargli l'organizzazione dell'attacco. Un'investitura accompagnata da consigli/ordini sugli uomini da impiegare. Ksm obbedisce, anche se alcuni dei futuri kamikaze non sembrano adatti. Parlano poco l'inglese, conoscono poco dell'America, dove devono vivere da infiltrati. Si va avanti comunque. Mohammed Atta è designato come capo del commando ed emerge una prima lista di obiettivi indicati sempre da Bin Laden.

L'INTELLIGENCE - Il tutto dovrebbe avvenire nella massima segretezza, con 2-3 capi di Al Qaeda informati, persino Al Zawahiri sarebbe stato tenuto all'oscuro. Invece si verificano diverse fughe di notizie. Alcune, ha sostenuto Ksm, sono da addebitare allo stesso Califfo. Difficile che le voci non siano captate dalle intelligence: emergono segnalazioni nel 1998 - a Bill Clinton - poi nel 2000, quindi a pochi giorni dal massacro. Note riservate dei russi, dei francesi, dell'Fbi, della Cia. Con l'ultimo memo degli 007 portato da Condoleezza Rice al presidente Bush nel suo ranch in Texas. Era il 6 agosto. Informazioni considerate generiche, minacce definite «non specifiche» ma che se analizzate con un occhio più attento avrebbero forse fermato la macchina distruttrice. I responsabili della sicurezza dovevano incrociarle con quanto predicava da un decennio Bin Laden. Ai terroristi jihadisti va riconosciuta una dote: cercano di mantenere quello che promettono. Guai sottovalutarli. Pericoloso sottostimare la loro fantasia criminale, pur se velleitaria. La mancanza di immaginazione dei servizi di sicurezza - come ha sottolineato la Commissione di inchiesta - ha, infatti, permesso ai complottatori di procedere sotto il radar.

I JET - Osama ha fretta, vorrebbe anticipare l'attacco. Ksm si oppone, spiega che i 19 non sono ancora pronti. Dei 4 «piloti» designati - Atta, Al Shehi, Jarrah, Hanjour - solo l'ultimo poteva vantare un background aeronautico: aveva studiato volo dal 1997 al '99, quindi aveva frequentato un corso in Arizona nel dicembre 2000, infine si era esercitato sul simulatore del Boeing 737. E malgrado questo training non era apparso troppo in gamba. Ancora minori le esperienze dei suoi complici: appena 40 ore di volo. Dato ben al di sotto delle 1500 ore richieste dalle autorità federali Usa. C'era poi il problema di condurre i jet dirottati sul bersaglio. Un ostacolo superato - per la commissione di inchiesta - usando i GPS. Quello della preparazione dei «piloti» resta uno dei punti oscuri della trama e che verrà sottolineato da molti, compreso il presidente egiziano Mubarak. Ex ufficiale di aviazione, vecchia volpe del Medio Oriente, avanza dei dubbi. A suo giudizio hanno eseguito una manovra troppo complessa per dei principianti.

I risultati, però, sono devastanti. Migliaia di morti, la frattura ideologica, l'odio, la reazione statunitense. Incalzata dall'offensiva alleata, Al Qaeda si rimpicciolisce lasciando il campo ai movimenti regionali. Di nuovo, gli 007 parlano di 100-200 elementi oggi «in servizio». Khaled Sheikh Mohammed, catturato con Binalshib dagli americani, è a Guantanamo dove si è assunto la paternità dell'operazione «dalla A alla Z». Vorrebbe morire sul patibolo e forse è per questo che in un messaggio alla famiglia ha lanciato strani segnali: «Cerco rifugio in lui (Allah, ndr) dal male dentro di noi e dalle nostre cattive azioni». Pentimento? Vedremo

Osama, invece, è sparito, protetto da complicità, voci incontrollabili (vivo/malato/morto) e da un complicato teatro geografico. Con la sua lunga marcia ha trascinato l'Occidente su un terreno insidioso, ha cambiato la nostra esistenza, ha consumato vite e risorse. Bin Laden non ha vinto, però ci ha costretto a raccogliere la sfida. Non si poteva stare a guardare, serviva una risposta per parare altri colpi, ma evitando di eleggere la lotta ai terroristi quale perno della politica occidentale. Così si è finito per fare il gioco di chi voleva la guerra dei mondi.


Guido Olimpio
10 settembre 2010
Tratto dal Corriere della Sera on line del 10 Settembre 2010.

Tempi di crisi: ben vengano le nuove idee....



Il fenomeno

Strip bar di giorno, i clienti
mangiano sulle donne vassoio

Vicenza, l’ultima trovata di un gestore: «La notte si sta svuotando, servivano idee nuove. Ma qualche femminista mi ha già telefonato arrabbiata»


VICENZA— Jennipher sorride. Reazione alla mano di un trentenne che solleva una patatina dal suo ombelico. Un po’ di solletico, uno dei problemi dell’essere una «ragazza vassoio». Ruggero Piazzon, uno dei titolari del «Diverso strip bar» di Vicenza, la chiama così. E, per allontanare le critiche, premette subito: «Non è costretta, è consenziente e pagata». Ma non è tutto. All’ungherese di 23 anni che da qualche sera passa un’oretta distesa sopra un tavolo del locale di lap dance infarcita di tramezzini e patatine, l’attività piace (o almeno così dice). L’ha pure ribadito alla famiglia e agli amici. A vestirla sono degli stuzzichini da aperitivo e una foglia al posto del tanga. Sotto la testa un cuscino e ai piedi un paio di zeppe. Tolto qualche mini tramezzino spunta il seno e lei, indifferente, continua a guardarsi intorno, sorridere e aspettare di essere «mangiata ».

Oltre al solletico, il suo lavoro ha un altro neo: «A volte fa un po’ freddo». «La ragazza vassoio» è così: una fanciulla che, pagata, si presta a fare da appoggio al cibo offerto ai clienti di un locale sexy circondata da colleghe che si esibiscono intorno al palo. Una moda giapponese, sbarcata in America e in Europa ma finora mai entrata in Veneto, tanto meno a Vicenza, piccola capitale dei locali notturni del Nordest. E proprio nella città che pullula di lap dance (ma che qualcuno chiama ancora sagrestia d’Italia) sbarca il «body food», un vassoio fatto di pelle e ossa servito a uomini di tutte le età che entrano al «Diverso strip bar» per vedere bellezze dell’Est senza abiti. E, molto prima che cali la notte sulla prima periferia. In galleria Crispi, infatti, lo spettacolo comincia alle 17.30 e finisce poco prima dell’alba. Chi esce dall’ufficio prima di cena può fare un salto al night-pomeridiano e farsi un aperitivo «stuzzicante », come spiega Piazzon. «La notte si sta spegnendo - aggiunge - nel Vicentino ci sono moltissimi locali ma non offrono niente di nuovo. Io tra le varie esibizioni ho inserito anche il body food, dalle 19 alle 21». L’idea gli gironzolava in testa da quando aveva visto un film giapponese in cui alcuni mafiosi banchettavano sopra il ventre di una donna orientale.

E’ passato qualche anno, Piazzon ha girato svariati locali e poi a maggio ha aperto il suo «Diverso». «E’ tutto in regola», tiene a precisare. Dal primo settembre ha introdotto la novità del vassoio, ha distribuito volantini in giro e qualcuno ha già cominciato a protestare. «Sono stato chiamata da una femminista - racconta - per la frase "ragazza vassoio" scritta nel depliant pubblicitario. Ho fatto mettere quelle due parole per far capire di cosa si parla, mica tutti sanno cos’è il body food». Qualche perplessità la muove anche Fabio Facchini, socio di due delle discoteche più frequentate di Vicenza, il Victory e Villa Bonin: «Il divertimento è fatto di altro, di emozioni e socializzazione. Mi sembra una trovata pubblicitaria per riuscire a sbarcare il lunario ». Agli habitué del locale la novità dal sapore orientale, però, sembra piacere. La voce si è sparsa e c’è chi vorrebbe prenotare la ragazza per feste private, sempre nel bar. «Per compleanni o per un addio al celibato, ho già cominciato». Ecco che la «ragazza vassoio» alla vicentina potrebbe soppiantare la più classica giovincella che esce dalla torta, come ultima consolazione del promesso sposo. «Il cliente mi fa sapere che cibo vuole e noi prepariamo», sottolinea il socio del "Diverso". Inizialmente sembra esserci un po’ di timidezza tra i commensali. C’è chi si chiede «ma posso prendere il tramezzino che è sopra la pancia?». Altri vanno diretti verso il cuore (nel senso letterale). Piano piano il vassoio si svuota e arriva una cameriera a farcirlo nuovamente.

Tratto dal il corrieredelveneto.corriere.it del 09 Settembre 2010.

lunedì 6 settembre 2010

Fiera Nautica di CANNES: fra attese e speranze per una annata ( Lavorativa) migliore....



La nautica italiana riparte da Cannes

Il settore, provato duramente dalla crisi, cerca il riscatto al primo evento internazionale della nuova stagione: il Festival de la Plaisance. Le previsioni dei tre vicepresidenti di Ucina-Confindustria Nautica sul Salone che aprirà i battenti mercoledì 8.


E a metà della Croisette le stelle si fermano a farsi ammi­rare... Le dive del cinema ce­dono il passo alle star del ma­re. Là dove glamour e lusso si danno appuntamento dall’8 al 13 settembre - la costa più amata dalla mondanità inter­nazionale- è tempo degli ulti­mi, frenetici ritocchi per la prima vetrina internazionale dell’anno, un indicatore im­portante per capire se nel 2011 la nautica navigherà in acque più tranquille. È qui a Cannes- come dicono gli ad­detti ai lavori - che il buon­giorno si vede dal mattino.

La nautica italiana, quindi, fa rotta verso la Costa Azzur­ra per curare le profonde feri­te aperte brutalmente dalla crisi globale. E approda in quel lembo di Mediterraneo che, più semplicemente, è l’esclusivo «territorio di cac­cia » dei francesi, paradiso del turismo da diporto. Altra cultura del mare, altre regole, altre leggi da quelle parti. Basti pensare che da noi, dall’unità d’Italia a oggi, sono state prodotte circa 200mila leggi, un numero spropositato rispetto a quelle vigenti in Francia (7mila), Germania (5mila), Gran Bre­tagna ( 3mila).

Una vera e pro­pria ipertrofia normativa, la nostra, che appesantisce la Pubblica amministrazione e avvilisce i cittadini. Non esi­ste in Italia un organo in gra­do di valutare se un regio de­creto dell’ 800 abbia conserva­to la sua efficacia nei secoli... Questo lungo inciso per di­re che di leggi inutili e ambi­gue, se non punitive, si muo­re. Sono queste leggi che sof­focano il settore nautico (e non solo) più della stessa cri­si. Sarebbe bello se il legislato­re ammettesse: non so fare buone leggi, però vado a stu­diare quelle che funzionano negli altri Paesi. Sia mai che... Torniamo a Cannes.

Gra­zie alla notorietà del luogo che ha superato tutte le fron­tiere, il Festival de la Plaisan­ce offre il meglio della nauti­ca a una clientela ricercata. E tra attese, speranze, riflessio­ni su due anni da dimentica­re - e un po’ di autocritica ­ecco che cosa ci hanno detto i tre vicepresidenti di Ucina: Francesca Radice, Giovanna Vitelli e Lamberto Tacoli.

Tratto da il Giornale di Bordo sul Gionale on line del 04 Settembre 2010.