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sabato 7 agosto 2010

Le idee ci sono....per i soldi..ovviamente...bisogna coinvolgere gli IMPRENDITORI...



Come creare 40mila posti barca in più.

Secondo uno studio di Ucina, basterebbe razionalizzare gli spazi sottoutilizzati nei bacini commerciali esistenti. Si attiverebbero così risorse (private) per 1 miliardo di euro creando almeno 10mila posti di lavoro nell’indotto


La nautica, che secondo lo stu­dio della Fondazione Edison rappresenta la quinta forza trainante dell’export italiano, è letteralmen­te compressa sul mercato interno. E non solo dalla mancanza di infra­­strutture. Anche le differenze nor­mative, determinate dal passag­gio della competenza sulle conces­sioni demaniali alle Regioni (e da alcune di esse devoluta ai Comu­ni), rappresentano un grave limi­te.

In questo senso il cosiddetto «fe­deralismo demaniale», cioè il definitivo conferimento delle coste al­le autonomie (e dei beni su di esse ubicati), può essere la chiave di vol­ta per risolvere il gap che ci separa dagli Stati che ci fanno concorren­za nel Mediterraneo: Francia, Spa­gna, Croazia e ora Turchia, Tuni­sia, Montenegro.

L’interesse non è solo quello - legittimo - degli imprenditori che vorrebbero competere almeno al­la pari con i colleghi dei Paesi del Mediterraneo,ma quello dell’inte­ra Nazione: qualunque studio economico dimost­ra infatti come i be­ni demaniali marittimi destinati al­la nautica da diporto offrono il mi­glior moltiplicatore del reddito e dell’occupazione anche rispetto a tutti gli altri settori del cluster marittimo ( dati Censis, Bain & Co, Osservatorio Nautico Nazionale). Lo stesso schema di decreto legislati­vo sul federalismo demaniale sta­bilisce che l’ente territoriale è tenu­to a favorire «la massima valorizza­zione del bene nell’interesse della collettività». Quindi, la nautica è la soluzione.

Secondo uno studio di Ucina-Confindustria Nautica si possono ricavare 40mila posti barca sempli­cemente razionalizzando gli spazi sottoutilizzati nei bacini commer­ciali esistenti. Si tratta di attivare risorse - private - per 1 miliardo di euro e anche 10mila posti di lavo­ro nell’indotto. Il numero dei posti barca può essere ulteriormente au­mentato destinando all’ormeggio a secco una di parte dei piazzali, degli scivoli e delle strutture fronte­mare che costituiscono il dema­nio marittimo. Molti di questi beni erano già censiti dal dpcm 21 dicembre 1995, il quale elencava i beni del demanio marittimo inizialmente rimasti allo Stato in occasione del primo trasferimento di funzioni amministrative alle Regioni.

Oggi le autonomie potrebbero decide­re che una quota parte di queste strutture vadano destinate priori­tariamente all’uso nautico, recu­perando spazi a mare per la gran­de nautica e consentendo ormeg­gi a costi contenuti per la nautica sociale. In America si fa da 30 an­ni... Il trasferimento alle autono­mie, infine, può essere l’occasione per definire la la spinosa questio­ne dei canoni demaniali, che la Fi­nanziaria 2007 moltiplicò fino a 10 volte. Allora, con un evidente erro­re concettuale, fors’anche ideolo­gico, i porti furono assimilati agli stabilimenti balneari, i cui costi di realizzazione sono evidentemen­te ben diversi.

Questo ha in parte bloccato gli in­vestimenti, senza portare un euro nelle casse dello Stato perché tutte le imprese hanno fatto ricorso. In­fatti, secondo Ucina, gli aumenti hanno riguardato - fatto illegitti­mo- i contratti in essere e non solo quelli a venire. L’aumento, infatti, si abbatte retroattivamente sulle opere già realizzate, facendo salta­re i business plan. Anche per que­sto i ricorsi cominciano a trovare accoglimento. Inoltre il nuovo meccanismo in vigore dal 2007 punisce, penalizzandolo con maggio­ri oneri, chi realizza strutture più importanti, che, va ricordato, allo scadere della concessione torna­no in mano pubblica. Esattamen­te contro quella che dovrebbe esse­re una logica di incentivi rispetto a chi investe maggiormente.

Il fede­ralismo demaniale può dunque es­sere un’opportunità, ma anche un ulteriore limite. Ucina-Confindu­stria Nautica, tra l’altro,è preoccu­pata dalla modalità adottata per il trasferimento dei beni, che preve­de una parcellizzazione e anche una certa concorrenza fra Regioni, Province e Comuni. Questo è asso­lutamente controproducente e dannoso per la gestione del mare che, per sua natura, ha bisogno di un progettounitario.I n quest’ott­i­ca sarebbe bene che la Conferenza Stato-Regioni trovi «regole mini­me » che valgano per tutte le auto­nomie, come la durata minima del­le concessioni dei porticcioli turi­stici, salvo la podestà di ciascuna di legiferare in materia.

Anton Francesco Albertoni*
* Presidente Ucina

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