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lunedì 31 maggio 2010

Happy Birthday...MY LOVE!


Il mio amore....oggi compie 30 anni....

è il suo secondo compleanno in italia....

Grande grigliata di carne...e ovviamente ...torta alla frutta fresca!

NO boats NO crime....SOLITO deliro all'Italiana...



Crolla il mercato dei charter dopo il blitz sul "Force blue

L'inchiesta "no boat no crime". I clienti esteri fuggono dall’Italia. Un danno miliardario per le economie delle zone costiere

I meno giovani ricorderanno il gingle del celebre confetto per cui «basta la parola». Anche vent’anni dopo, nell’era di Internet, una parola maldestra può far vacillare un titolo, la Borsa, il debito di un Paese. Basta una parola a far fuggire clienti, finanziatori, contribuenti, mercati. È il casodel «No boat, no crime», infelicissimo titolo dell’indagine sull’evasione fiscale che ha portato al sequestro dello yacht di un noto personaggio della F1. Il tema ovviamente non é l’inchiesta.

È dovere di ogni cittadino pagare i tributi fino all’ultimo cent.

Però che un’amministrazione pubblica, un magistrato o altri ancora, decida di certificare, erga omnes, l’equazione «diportista uguale criminale» é proprio una storiaccia nella storiaccia.

Ripreso anche dal Financial Times, quel titolo ha già prodotto un fuggi fuggi di clienti esteri dall’Italia provocando il crollo delsettore charter, come conferma Thierry Voisin, rappresentante di una delle più quotate società di charter internazionale ed ex presidente della Mediterranean Yacht Brokers Association.

Un danno miliardario per l’indotto delle nostre economie costiere, visto che quegli yachtgeneranoannualmente un’economia indotta pari al 10% del loro valore di acquisto, spiega l’Osservatorio Nautico Nazionale, unica fonte in Italia che abbia un quadro completo della materia. Un danno per l’industria italiana che in 15 anni é diventata la prima al mondo in quel segmento dimercato, fino a dare lavoro a 120mila. Ma anche un danno di immagine, soprattutto, chesi allarga sututti i diportisti, tutti uguali, tutti colpevoli, nonostante l’80% della flotta da diporto sia fatta da barchette e gommoni sotto i 10 metri e che, fra queste, quelle acquistate con più 30mila euro - il costo di un’auto media - sia appena il 6%.

Peraltro già da anni le barche sono più che sovrastimate dal redditometro. Lo stesso non può dirsi per gli immobili, anche quelli di pregio,valutati a cifre risibili. Per tacere delle seconde case, oppure dei viaggi, dei noleggi, delle carte di credito... Magari potremmo andarci a mettere il naso. Oppure possiamo continuare a crogiolarci nell’idea - che piace anche a tanti politici da salotti tv - che i problemi del Paese si risolvano con un po’ di populismo ideologico.

Pubblicato e tratto da Il Giornale del 29 Maggio 2010 RNe.

giovedì 27 maggio 2010

Nonostante tutto....DORMO ancora bene......

Le preoccupazioni economiche in testa alle cause del fenomeno

Stress da recessione: si dormono
due ore in meno per notte

Secondo un'indagine inglese la media si è abbassata
fino a 6 ore e 21 minuti

MILANO - Otto ore filate di sonno? Ormai sono un sogno per la maggior parte di noi, almeno a giudicare dallo studio commissionato dalla catena di hotel Travelodge e da cui è emerso che, in questi tempi di recessione e con lo stress che raggiunge livelli sempre più allarmanti, dormiamo in media quasi due ore in meno, per un totale di 6 ore e 21 minuti a notte. Una sensibile riduzione di sonno che per il 56% dei 6mila intervistati equivale a sentirsi come dopo una sbornia – ovvero, malissimo – e che spingerebbe così 7 persone su 10 a comportarsi in maniera «orribile». Ma c’è anche chi fa peggio, passando magari l’intera nottata senza chiudere occhio e questa carenza di riposo avrebbe effetti devastanti anche sulla vita lavorativa, visto che per il 54% è impossibile concentrarsi sul lavoro all’indomani di una notte insonne, mentre un terzo ha detto di trovare molto difficile anche il solo guidare da casa all’ufficio. Conseguenza: il 45% del campione testato sostiene che ci vogliono almeno due giorni per recuperare e il 28% ammette di dover prendere una giornata di malattia, che diventano 8 milioni in un anno (nel 2008 erano poco più di 3 milioni). E tutto ciò si traduce con una perdita stimata in 1 miliardo di sterline l’anno per le aziende di Sua Maestà.

GIORNI DI MALATTIA RADDOPPIATI - «Questa ricerca evidenzia come la mancanza di sonno stia diventando un problema cronico in Inghilterra – ha commentato sul Daily Telegraph Stevie Williams, responsabile dell’Edinburgh Sleep Centre - ed è davvero preoccupante constatare come il debito di riposo e il numero di giorni di malattia siano quasi raddoppiati in due anni.

Sebbene stiamo ormai uscendo dalla recessione, è chiaro che gli inglesi sono ancora spaventati da questioni come denaro e lavoro, che sono fra le cause principali dei disturbi legati al sonno, ma si tratta di un circolo vizioso, perché non dormire è nocivo per la salute ed influenza la produttività e il benessere generale. Ecco perché è assolutamente essenziale cercare di recuperare, laddove possibile, la quota di sonno giornaliera, per arrivare così a quelle 8 ore che devono diventare la regola».

Non a caso, un quarto dei partecipanti al sondaggio fa un pisolino durante il lavoro, con il 16% che sonnecchia alla scrivania e il 10% che lo fa nei bagni. Ma è la sveglia il vero tormento quotidiano, tanto che una persona ci mette in media ben 13 minuti prima di saltar fuori dal letto quando questa si mette a suonare e se il 65% è disposto a saltare la doccia mattutina pur di poter restare ancora a letto, uno su 10 rinuncia a lavarsi i denti per poter indulgere qualche attimo extra fra le coperte. E proprio per aiutare l’insonne popolo britannico a dormire meglio e di più, Travelodge ha lanciato il suo «programma sonno» da 10 milioni di sterline, che prevede maggiori comfort per i clienti e l’introduzione di 81mila nuovi cuscini, capaci di attutire i rumori.

LE DIECI CAUSE DI MANCANZA DI SONNO - Tornando allo studio iniziale, queste sarebbero le dieci principali cause della mancanza di sonno:

1) preoccupazioni economiche;
2) stress da lavoro;
3) rumore esterno;
4) guardare la televisione troppo tardi la sera;
5) problemi familiari;
6) difficoltà sentimentali;
7) agitazione del partner a letto;
8) il russare del partner;
9) preoccupazioni riguardanti la propria persona;
10) un litigio con il partner.

Tratto dal Corriere della sera on line
Simona Marchetti
27 maggio 2010

martedì 25 maggio 2010

I "mali" dell'era moderna....IO giocavo in strada...

Malati di Twitter e di Facebook

Torna la generazione Rigby, sola come negli anni '60. E ossessionata.

Hanno 18-25 anni. Vivono un mondo a parte. Una ricerca lancia l'allarme: «Schiavi della solitudine»

MILANO - Altro che «generazione di fenomeni», come cantavano gli Stadio. In realtà, i ragazzi di oggi sono più sul genere Eleanor Rigby (la canzone dei Beatles, contenuta nell’album Revolver del 1966, che è un inno alla solitudine come condizione esistenziale, dove le persone restano sole pur essendo vicine le une alle altre) e la colpa sarebbe dei social network come Facebook e Twitter, definiti una vera e propria «ossessione», che portano i giovani a tagliar volutamente fuori dalle loro vite amici e parenti.

LA RICERCA - A lanciare l’allarme sono stati gli esperti della Mental Health Foundation che, partendo da argomentazioni scientifiche e basandosi su un sondaggio svolto su 2.250 britannici, hanno tratteggiato uno scenario per certi versi preoccupante della Lonely Society : un mondo a parte, dove i ragazzi fra i 18 e i 24 anni sono i più esposti alla solitudine, con una percentuale due volte superiore agli over 55 che, fino a poco tempo fa, si ritenevano i più a rischio. In pratica, un giovane su tre (il 31%) ha ammesso di passare troppo tempo a comunicare via web con persone che, invece, si dovrebbero vedere dal vivo. «Internet non è la radice del problema» – ha voluto precisare il dottor Andrew McCulloch, amministratore delegato della charity, al Daily Mail – ma può sicuramente contribuire ad aggravare la situazione. Incontrare le persone online o parlare con loro via mail o chat non significa avere una relazione vera e propria e, soprattutto, questo tipo di rapporto non permette di ottenere la stessa reazione che si avrebbe incontrandosi dal vivo».

ANSIA DA CONTATTO PERENNE - In sostanza, la tendenza a ricorrere ai social network per stare in contatto con il resto del mondo va oltre il tradizionale concetto di socializzazione, creando, appunto, una generazione di «Eleanor Rigby», dove ognuno è schiavo della propria solitudine. «Il contatto umano nutre corpo e mente – ha spiegato il responsabile della politica della fondazione, Simon Lawton-Smith – e il modo in cui viviamo ora è la prova che di questi contatti umani ne stiamo avendo sempre di meno. Internet può essere fantastico per tenerci in contatto con chi ci sta a cuore e magari si è trasferito dall’altra parte del globo, ma occorre trovare un giusto equilibrio». E mentre un intervistato su nove ha rivelato di sentirsi solo (con le donne in netta superiorità rispetto agli uomini), uno su tre si è, però, detto «troppo imbarazzato per ammetterlo». Ma non pensate che il problema sia solo inglese. Un sondaggio online dell’Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico su 800 persone fra i 20 e i 75 anni ha, infatti, evidenziato come il computer sia ormai diventato una sorta di «droga» per il 70% degli italiani intervistati, che lo usa almeno due ore in più al giorno rispetto al normale lavoro. «La sensazione è quella di trovarsi di fronte a persone completamente dipendenti dai pc – ha spiegato Paola Vinciguerra, presidente dell’Eurodap, nel report a corollario dell’indagine – e l’uso eccessivo di chat, social network , sms e mail può generare comportamenti ossessivi, ansia e depressione.

CO-RUMINATION - In America è stato coniato il termine “co-rumination” per indicare la necessità ossessiva di condividere ogni nostro movimento o pensiero e malgrado rapporti che sembrano numerosi, da un punto di vista numerico, ci diano la sensazione di sentirci meno soli, in realtà non è così, perché si tratta di contatti che non esistono e sono proprio questi finti legami a mantenerci nella nostra solitudine». Una soluzione? Controllare la permanenza quotidiana davanti al computer e regalarsi un giorno sabbatico lontano dalla tecnologia. «Il pc deve servire per stabilire contatti che poi devono diventare reali – ha concluso la Vinciguerra – perché una macchina non può e non deve sostituire le persone».

Tratto dal Corriere della sera on line di Simona Marchetti
25 maggio 2010

sabato 22 maggio 2010

Scienza...o Fantascienza....???

Il personaggio

Lo scienziato delle emozioni
e il contratto milionario con i petrolieri

Il padre del genoma computerizzato pensa a nuovi batteri da commerciare

NEW YORK—

Siti e «blog» scientifici americani che ieri titolavano «Venter toglie a Dio il monopolio della vita» sono certamente privi di senso della misura, ma sono anche un termometro delle emozioni estreme che da più un decennio suscita, con le sue imprese, uno scienziato adorato da molti come un genio assoluto e considerato da altri un furbo assemblatore di tecnologie: un personaggio più abile a costruire storie per i «media » e a fare soldi che ad aiutare davvero l’umanità a progredire. Con la prima cellula artificiale prodotta nei suoi laboratori, però, stavolta Craig Venter sembra mettere tutti d’accordo: le sue ricerche, parzialmente finanziate da giganti del petrolio— soprattutto Exxon e BP—sicuramente lo renderanno una persona ancora più ricca, ma per la prima volta sembrano in vista applicazioni concrete della nuova biologia sintetica. E se ai tempi del completamento della mappatura del genoma umano, Venter si era dato tre obiettivi—innovazioni per l’energia, l’ambiente e i vaccini — ora è abbastanza certo che i primi risultati verranno probabilmente colti non nel campo della lotta alle malattie, ma in quello della produzione di nuovi biocarburanti: un processo destinato a ridurre la dipendenza dagli idrocarburi estratti dal sottosuolo e che, probabilmente, consentirà anche di ottenere un abbattimento delle emissioni di anidride carbonica.

La cellula artificiale capace di autoreplicarsi appena creato in laboratorio dal team di Venter e Hamilton Smith ha solo fini dimostrativi, ma promettere di essere la capostipite di una famiglia di batteri «commerciali» in grado di purificare l’aria e il suolo da alcuni agenti inquinanti e di produrre energia: combustibili nei quali la componente minerale del carbonio è sostituita da una base vegetale, che si prospetta molto più avanzata e molto più conveniente dei biocarburanti attuali, ricavati dal mais, dall’olio di palma o dalla canna da zucchero. Sembra confermarlo il fatto che Venter, prima di pubblicare i risultati della ricerca sulla produzione della «vita sintetica » su Science, ha informato la Casa Bianca, il Congresso, alcuni istituti governativi e, soprattutto, ha subito avviato le procedure per registrare il brevetto. L’applicazione più vicina per la nuova scoperta sembra essere quella dell’estrazione di combustibili da alghe sintetiche.

Un’impresa nella quale Syntetic Genomics, una delle società di Venter, si è imbarcata l’anno scorso proprio insieme alla Exxon che ha scommesso ben 600 milioni di dollari in questa impresa. Allora l’improvvisa ventata di ambientalismo di una compagnia che ha sempre orgogliosamente puntato solo sul petrolio e i suoi derivati, suscitò non poco scetticismo. Ma gli esperimenti condotti fin qui hanno dimostrato che, a parità di superficie coltivata, dalle alghe può essere estratta una quantità di combustibile pari a otto volte l’etanolo ottenuto dal mais. Tra l’altro quello che verrà prodotto sarà un combustibile di qualità superiore, utilizzabile anche per alimentare i motori degli aerei. È, poi, allo studio un altro tipo di batterio sintetico che potrebbe essere usato per sviluppare un altro filone promettente: quello delle alghe che «mangiano» CO2.

Qui la società di Venter collabora con un’altra compagnia petrolifera, la BP. È facile favoleggiare di una molecola che in futuro avrà la capacità di mangiare gli agenti inquinanti prodotti da fenomeni come l’«oil spill» nel Golfo del Messico, di cui proprio la compagnia angloamericana è responsabile. Per adesso sono solo suggestioni: il passaggio dalla sperimentazione alle applicazioni commerciali pratiche non richiederà meno di dieci anni, per stessa ammissione di Venter. Il quale continua ad alluvionare i media di annunci e comunicati, si trova a suo agio nei panni del grande comunicatore, ma ha anche adottato un profilo di scienziato più misurato. Lo studente «scansafatiche» con pagelle disastrose che pensava solo al suo surf, divenuto uomo e scienziato dopo la dolorosa esperienza del Vietnam, sembra aver dismesso i panni del profeta-benefattore: l’immagine di se stesso che aveva dato in «A life decoded», l’autobiografia pubblicata nel 2007. Un libro metà «santino», metà manoscritto da film «western». Il nuovo Venter sembra meno guascone. Più imprenditore che affarista. E scienziato che non rinuncia alle visioni di un futuro affascinante, ma intanto rimane coi piedi ben piantati per terra. Tanto a paragonarlo a Dio già ci pensa qualcun altro.

Tratto dal Corriere della Sera on line
Massimo Gaggi
22 maggio 2010

sabato 15 maggio 2010

Corporate Gardens....ossia...Orto Aziendale

L’orto aziendale : l’ultimo benefit contro la crisi delle aziende USA

NEW YORK

La sede della Toyota a Georgetown, in Kentucky, ha un enorme orto di pomodori e zucchine mentre presso il quartier generale del grande magazzino Kohl, a Milwaukee, l’enfasi è su bietole, spinaci e insalate. Persino PepsiCo, il colosso alimentare da 60 miliardi di dollari specializzato in cibi spazzatura come Mountain Dew, Cheetos e Rice-A-Roni ha creato al suo interno un Corporate Garden, rigorosamente biologico, coltivato dagli impiegati che alla fine della giornata tornano a casa con le borse piene di frutta ed ortaggi.

“E’ l’ultimissimo trend nell’America della crisi economica”, teorizza il New York Times, “per tirar su il morale degli impiegati, le compagnie che non possono più permettersi aumenti salariali, viaggi premio e bonus, hanno inventato un nuovo benefit: l’orto aziendale”.

I ripetuti appelli della first lady Michelle Obama per convincere il Paese a mangiare cibi più sani, biologici, locali ed ecosostenibili sono andati in porto. Secondo l’ultimo sondaggio della National Gardening Association nel 2009 ben 41 milioni di americani hanno coltivato da sé le proprie frutta e verdura. Un aumento di oltre il 13 % rispetto all’anno precedente. E secondo le stime il numero dovrebbe lievitare ulteriormente quest’anno.

Fino a ieri l’orto-mania riguardava solo un’élite di aziende progressiste quali Google, Yahoo e Sunset Magazine, tutte di Silicon Valley, dove saper fare un buon composto è cruciale quanto programmare un computer. Ma adesso sono centinaia le corporation che, da un angolo all’altro del paese, permettono ai propri impiegati di fare i contadini “part-time” durante l’orario di lavoro.

I vantaggi non sono solo di tipo salutista (lavorare i campi aiuta a mantenersi in forma, mangiare sano idem) ed economico. “Zappare la terra insieme incoraggia ad abbattere le gerarchie dell’ufficio”, teorizza Sheila Golden, senior manager di PepsiCo e ‘farmer’ convinta, “Nell’orto siamo tutti allo stesso livello”.

A trarne vantaggio sono soprattutto i dipendenti delle aziende che oltre a portarsi a casa chili di ortaggi gratis e di primissima scelta, possono gustare i frutti della propria fatica alle mense aziendali, sempre più sane e vegetariane.

L’unico problema riguarda l’assenteismo. “Quando bisogna togliere le erbacce dai campi, molti si danno alla macchia”, ironizza Peggy Skinner, ideatrice dell’orto bio del colosso cosmetico Aveda, vicino a Minneapolis. “Per correre ai ripari abbiamo dovuto imporre turni di semina, raccolta e irrigazione”, precisa, “spedendo a tutti degli email settimanali di promemoria.
Tratto dal Corriere.it del 13-05-2010.